Premio Nobel per la pace 1952
Albert Schweitzer 14-01-1875 4-09-1965
Fu un grande. Il suo ritratto insieme a quello di Albert Einstein, rappresenta una delle immagini iconiche che caratterizzano più incisivamente il ventesimo secolo.
Il Time, in occasione dell’assegnazione del Nobel per la Pace, lo definì l’uomo più importante del mondo. Nacque in Alsazia, in un territorio prima tedesco poi francese, il 14 gennaio 1875. Da oltre un secolo il suo nome, la sua opera e le sue foto nella missione africana del Gabon, godono di una notorietà e una fama universale. Filosofo, musicologo, virtuoso di organo e studioso di Bach, ha saputo spaziare nel vasto campo della Storia delle Religioni, della Teologia, del pensiero filosofico, privilegiando riflessioni sull’etica delle relazioni umane, della solidarietà, della lotta alla povertà.
Sostenitore del disarmo nucleare e della pace nel mondo, ha impostato la sua esistenza su un concetto di missione: quella di alleviare le sofferenze dell’umanità, “degli ultimi”, che la cosiddetta civiltà del mondo occidentale ha abbandonato, dopo aver spesso depredato le risorse dei loro Paesi con le conquiste coloniali.
Dopo aver conseguito un’altra laurea, in medicina, si imbarcò con la moglie per l’Africa, aprendo, con grandi sacrifici e utilizzando le sue innumerevoli relazioni culturali, un ospedale nel Gabon, a Lambarenè, luogo che divenne poi il simbolo della solidarietà e della carità evangelica; un luogo come un’oasi di salvezza per tutte le popolazioni africane, un centro di speranza attorno al quale si è alimentato il mito di Albert Schweitzer che lì trascorse una vita intera guadagnandosi il titolo di “Stregone Bianco”, l’uomo della provvidenza, l’uomo che rispettava la vita nelle sue più crude espressioni di sofferenza e di disagio.
Un’attività frenetica, inframmezzata da viaggi, concerti d’organo, conferenze per promuovere il riscatto dell’”Uomo bianco” con missioni umanitarie e con impegno costante per la nascita di un nuovo umanesimo in contrasto con l’egoismo e il paganesimo imperante nel mondo.
Un successo clamoroso della sua opera e tanti estimatori in tutti i continenti e in tutte le categorie sociali.
Nel 1952 gli fu assegnato il premio Nobel per la Pace e in coerenza con i suoi disegni ideali, costruì, con il ricavato, un grande lebbrosario nella foresta vergine: “Il Villaggio della Luce”. Dopo innumerevoli traversie si stabilì permanentemente nella sua Missione Africana e non volle tornare in Europa, dove sarebbe stato accolto come un Eroe dell’umanità. Rimase a combattere nella foresta, accogliendo e curando ogni giorno donne, bambini e vecchi malati che lo raggiungevano quotidianamente in cerca di soccorso. Senza mai sosta. Con l’unico svago di un pianoforte che di tanto in tanto suonava, diffondendo magiche note nella notte africana.
Morì a Lambarené nel settembre 1965, lasciando un messaggio di fratellanza, di amore per la vita e per tutti coloro che portano l’impronta del dolore. Tutti quelli che poi lo piansero più di ogni altro, come “il più grande dei figli della terra”.
La sua immensa opera, il suo messaggio e il suo volto iconico sono l’emblema di ciò che di meglio ha saputo esprimere il secolo più crudele e cruento della storia.