( di C. Tomassini)
Il Capitano Luigi Ardoino marciava alla testa dei suoi bersaglieri con il cuore in tumulto.
Era l’autunno del 1917 e la tragedia della rotta di Caporetto aveva appena investito l’Italia. Niente di simile era stato mai visto prima. Quella guerra, iniziata per l’Italia nel 1915, di colpo non era più combattuta lungo un fronte lontano, ma in casa. Le strade erano ingombre di soldati in ritirata senza più collegamenti e di civili in fuga: contadini, donne con bambini, feriti, carreggi di ogni tipo, tutto e tutti allo sbando, incalzati dall’improvvisa e dilagante invasione delle truppe austro-tedesche nei paesi e nelle case del Veneto.
Ardoino la guerra l’aveva già conosciuta qualche anno prima, nel 1911 sul deserto libico, quando era sergente maggiore; a Bir Tobras, mentre combatteva in prima linea, aveva visto cadere un suo superiore ferito dagli arabi e non aveva esitato a soccorrerlo e a trarlo in salvo nonostante l’intenso fuoco nemico. Era poi tornato subito a fianco dei suoi, meritandosi una Medaglia di Bronzo al Valor Militare (*). Subito dopo, a Sciara Sciat, veniva promosso sottotenente per meriti di guerra.
Quando il 24 ottobre 1917 l’esercito italiano fu travolto dalla tremenda disfatta di Caporetto, Ardoino era ormai capitano e addirittura comandante di un battaglione da ben sei mesi, in funzione interinale (talvolta si creavano infatti vuoti nell’organico a causa dell’elevato numero di caduti fra gli ufficiali).
L’8° reggimento bersaglieri si trovava allora sul fronte dolomitico, dove aveva combattuto con grande valore (come è ricordato anche dal monumento nella foto), ed egli era appunto al comando del XII battaglione quando il 25 ottobre ricevette l’ordine di ripiegamento. Un senso di impotenza e di rabbia pervadeva il cuore dei fanti piumati di fronte alla necessità di quest’ordine, che tanto contrastava con l’impeto e con la volontà bersaglieresca di non indietreggiare mai.
Durante tale manovra, il giorno 28, il XII passò agli ordini del maggiore Pecoraro e il capitano Ardoino cedette perciò il comando al suddetto titolare, per riprendere quello della sua compagnia, la 6^.
La marcia verso il Piave procedeva rapidamente.
Nella mente del nostro capitano si affollavano pensieri, si sovrapponevano le immagini dei momenti di guerra vissuti fino a quel momento con onore, dall’arsura dell’Africa al gelo delle Dolomiti, e la disperazione che in quell’autunno stava travolgendo gli animi dei più, nel suo animo di bersagliere trovava una fiducia ostinata che voleva ancora credere e ancora sperare, nonostante tutto.
Il 10 novembre 1917 alle ore 8 il XII battaglione è in procinto di attraversare il Piave all’altezza della località Ponte nelle Alpi (Belluno), quando la compagnia di avanguardia, la 5^, viene attaccata di sorpresa dal nemico appostato sulle alture circostanti. Il capitano Ardoino con prontezza lancia la sua compagnia (la 6^) all’assalto in rincalzo alla 5^ e, grazie a una rapida e accorta manovra di aggiramento, riesce a mettere in fuga circa 350 soldati nemici e a catturarne 27, oltre a 60 biciclette e a una sezione mitragliatrici montata su motocicletta. Ma dall’altura sulla quale si trova, si accorge che il battaglione, pur liberato almeno momentaneamente dal pericolo, resta fermo e non procede al passaggio del fiume. I collegamenti sono molto lenti e solo successivamente Ardoino apprende che il comandante stesso del battaglione è ferito mortalmente, che non si riesce a trasportarlo al posto di medicazione, che la richiesta di rinforzi inviata al comando di reggimento non è mai arrivata e infine che ben due battaglioni nemici erano ormai prossimi a schierarsi per sbarrare il passaggio del fiume ai bersaglieri. Il nostro capitano si trova quindi nella necessità di assumere nuovamente il comando del battaglione in qualità di ufficiale più anziano, ma l’assenza di collegamento e l’impossibilità di immediate comunicazioni, fa sì che nei momenti a seguire lo stesso battaglione non potesse ricevere i suoi ordini circa la nuova situazione profilatasi. A questo tragico e apparente vuoto di comando, reagisce decidendo comunque di muovere all’assalto con la sua 6^ compagnia, per impedire al nemico di spiegarsi e permettere in tal modo il disimpegno del battaglione. Ciò nonostante, il contrattacco si rivela tremendo e mentre parte della 5^ compagnia e ciò che rimaneva della 6^ si trova tagliato fuori sulle alture, il resto del XII battaglione viene circondato e catturato. Ardoino e i suoi tentano con ogni mezzo di passare il Piave, ma i ponti sono già stati fatti saltare e i numerosi tentativi di attraversamento a nuoto si rivelano impossibili per la piena.
Quei pochi bersaglieri sono ormai soli in territorio occupato dagli austro-tedeschi.
Il capitano, in lacrime, li scioglie dal servizio e li invita a comportarsi con la popolazione civile in modo tale da tenere alto il nome della Patria e a sperare che il valore degli Italiani avrebbe presto cambiato le sorti della guerra.
Da quel momento, Ardoino vive nascosto per non cadere prigioniero e conduce per un anno intero una vita “selvaggia, piena di sofferenze e di patimenti indescrivibili” come scriverà lui stesso. Completamente solo, mosso dal desiderio di ritornare nel suo bellissimo paese natìo -Villa Faraldi (Liguria), di riabbracciare la giovane moglie sposata pochi mesi prima durante una licenza e soprattutto dalla volontà di comportarsi in modo degno di un bersagliere, seppur camuffato in abiti civili, egli non si dà per vinto.
Una ferrea tenacia alimenta e soccorre quella fiducia incontrastata che lo aveva caratterizzato fin dall’inizio della sua vita militare.
Dopo aver peregrinato fra campagna, boschi e piccoli centri, trovando talvolta, ma non sempre, cibo e ospitalità, in febbraio, dopo tre mesi di tentativi, riesce a entrare in confidenza con alcune famiglie del bellunese. Gli italiani che erano rimasti sul suolo occupato erano infatti assai diffidenti e molto prudenti, perché gli austriaci erano severissimi nei controlli e per chi ospitava segretamente militari italiani c’era la fucilazione immediata. Ardoino quindi andava e veniva travestito da contadino, per non mettere a rischio la vita dei suoi benefattori e per potersi muovere più liberamente.
Rivelando solo ad alcuni la sua vera identità, in mille modi sarà di aiuto alle comunità di coloro che avevano deciso di non lasciare le proprie case e che subivano dalle truppe occupanti continui soprusi e violenze, di cui egli stesso fu testimone. Insegnò a leggere e a scrivere a bambini che non potevano più andare a scuola, lavorò nei campi a fianco degli anziani rimasti, istruì le donne su come nascondere viveri, bestiame e masserizie, preda di continue requisizioni nemiche. Inoltre, data la sua istruzione piuttosto superiore alla media dell’epoca, si cimentò anche come medico in alcuni frangenti, risolvendo positivamente i casi affrontati. Organizzò infine incontri segreti, nei quali, con parole di incoraggiamento, infiammava i cuori di fede per la Patria.
Col tempo, pur alternando, per prudenza o per “soffiate”, giorni di vita nelle case a periodi vissuti nei boschi, egli escogita nuove vie attraverso cui poter volgere in positivo la sua permanenza forzata oltre il Piave. Dopo qualche tentativo, entra finalmente in contatto con autorità municipali locali e con altri militari italiani che erano fuggiti dalla prigionia o che invece lavoravano da prigionieri, controllati dal nemico. Riesce a tessere una rete di collegamenti fra questo “sottobosco” di popolazione decisa a collaborare segretamente nonostante il grande pericolo e forma una banda di volontari, da lui denominata “Battaglione Col Visentin”, che ha come scopo sabotaggio, informazione, attacco immediato nel caso di una decisiva offensiva italiana. Tutti i volontari sono a conoscenza dei luoghi nascosti dove, all’occorrenza, potersi equipaggiare con armi di ogni tipo, sia italiane che austriache, procurate nel tempo, e alcune donne hanno perfino cucito per loro una… Bandiera italiana!
Nell’agosto del 1918 entra in possesso di pacchi lanciati da aeroplani italiani oltre il Piave, destinati a ufficiali che, per la prima volta nella storia militare italiana, erano stati paracadutati oltre le linee a scopo spionaggio, primo fra tutti il Tenente Alessandro Tandura, e, tramite dei colombi viaggiatori ivi contenuti, riesce a mettersi in contatto con l’Ufficio Informazioni dell’8^ Armata. La sua emozione è incontenibile. Ecco come esordisce nella lettera con la quale si palesa al Comando italiano: “Quando meno me l’aspettavo ecco risplendere una grazia! Mi è impossibile miei italiani esprimervi mia riconoscenza con cui ho ricevuto questo dono. Tutti i miei sentimenti sono in tumulto per la consolazione avuta. In risposta al foglio di cotesto Comando, ho l’onore di poter dire che oltre ad essere italiano sono anche Capitano nell’8° Reggimento Bersaglieri […]”.
Da quel momento, anche in seguito al casuale incontro con Tandura (**), la “macchina da guerriglia” messa in atto da Ardoino si rivelò efficacissima. Più volte tagliò le comunicazioni telefoniche fra i Comandi austro-tedeschi, fece saltare depositi di munizioni, fornì ai Comandi italiani informazioni preziose sugli spostamenti e sul numero delle unità nemiche, aiutò le famiglie con il denaro a lui destinato, ottenne addirittura l’abbandono delle armi e la diserzione di alcuni soldati occupanti.
Nei giorni dell’offensiva italiana di Vittorio Veneto il battaglione dei volontari agevolò l’avanzata, combattendo a danno delle retrovie nemiche. Il 5 novembre 1918 il Capitano Ardoino scioglie in Belluno la sua banda, come richiesto dal Comando della 60^ Divisione (Gen. Mozzoni) e versa le armi alla caserma dei Carabinieri Reali. Per la sua lealtà alla Patria e per il suo operato viene insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare con la seguente motivazione:
Ardoino Luigi, capitano 8°reggimento bersaglieri – “Assunto
il comando del proprio battaglione, in seguito a grave ferita riportata dal titolare, lo guidò con slancio ed ardimento in aspro combattimento contro nemico in forze soverchianti. Sfuggito alla cattura con pochi superstiti, dopo inutili tentativi del passaggio del Piave, datosi alla macchia, gli riuscì di vivere clandestinamente per un intero anno in territorio occupato dal nemico, organizzando, con fine accorgimento ed alto sentimento patriottico, una banda formata di volontari e prigionieri nostri, in previsione della riscossa. Durante la vittoriosa avanzata delle nostre truppe, partecipò coi reparti di avanguardia di una nostra colonna di inseguimento ad alcuni scontri con le retroguardie nemiche, dando prova mirabile di animoso e risoluto coraggio e di valore personale ” Ponte nelle Alpi – 10 nov 1917. Casere Navenze – Polentes (Belluno) 30/31 ott.191
Per un anno intero, dal 10 novembre 1917 fino alla vittoria di Vittorio Veneto del 4 novembre 1918, Luigi Ardoino fu protagonista di una grande avventura, vissuta con dedizione, con coraggio, ma soprattutto con una “fiducia in se stesso fino alla presunzione” degna di un Bersagliere.
(*) Motivazione MBVM: “Soccorreva con la massima premura un ufficiale ferito e ritornava immediatamente in prima linea sotto l’intenso fuoco di fucileria nemica per dare ancora, come in tutta la giornata, bello esempio di coraggio ed ardimento”– Bir Tobras, 19 dicembre 1911.
(**) Interessante la situazione eccezionale che vide agire insieme sullo stesso scenario il primo paracadutista militare italiano e, secondo la definizione di alcuni, il primo ” bersagliere partigiano”!
(d.ssa Cristina Tomassini – Ricerc. storica)